venerdì 6 gennaio 2012

Della superiorità (almeno per me) della Barbera d’Asti.

Mario Giagnoni mi cita nel suo recente articolo "Il credo del Barbera d'Asti", pubblicato a pagina 189 di Spirito di Vino www.spiritodivino.biz , attualmente in edicola, colpito dalla mia dichiarata partigianeria a favore della Barbera d'Asti, come unica barbera possibile, un "credo" appunto. Mi attribuisce inoltre il buon Mario un "trattato sui vini del Piemonte" che altro non è che una breve testimonianza, o meglio una dichiarazione di amore verso questo vino grande nella sua modestia che riporto di seguito a beneficio dei "Grillimangianti" interessati all'argomento.

Della superiorità della Barbera d’Asti.
Sgombriamo subito il campo: la mia passione assoluta per la Barbera, attenzione “la” non “il” Barbera, non nasce dal fatto che, ancora bambino, è stato il primo vino che ho conosciuto. Non è la sindrome del primo-amore-che-non-si-scorda-mai, altri gradevoli e impegnativi incontri enologici ho avuto nella mia vita di bevitore, ma il confronto ultimo, quello che spesso dopo una serata di degustazione di rossi tornando a casa macino nella mente, l’archetipo di quello che dovrebbe essere un buon vino, inteso come vino buono, è sempre lei, la Barbera. E per me la Barbera è sempre è soltanto la Barbera d’Asti. Si sa che questo vitigno è un donatore universale, nasce in Piemonte, il primo documento in cui si accenna alla Barbera è del XVII secolo ed è conservato nel Municipio di Nizza Monferrato, ma con nomi differenti si trova in tutta la penisola oltre a essere il vitigno italiano più utilizzato oltreoceano. Storicamente la prima volta che la Barbera acquista dignità è nell’”istruzione”, letta dal Conte Nuvolone, l’8 novembre 1798, alla Società Agraria di Torino e pubblicata nello stesso anno con il titolo “Sulla coltivazione delle viti e sul metodo migliore di fare e conservare  i vini”. Dice Nuvolone: “… quest’uva nel Vercellese e nel Canavese è chiamata Ughetta, dai Novaresi Vespolina, e sotto la denominazione di Barbera è molto coltivata nella frascheja d’Alessandria, e nell’Astigiana”. Dina Rebaudengo nella sua fondamentale opera “I vini del Piemonte”, del 1966, chiude l’argomento affermando che “La zona classica del Barbera è stata, ed è, quella della Valle del Tiglione nell’Astigiano”. E’ come sempre innanzitutto una questione di terreni e di microclima che in questa parte di Monferrato astigiano dalle colline argillose e dolci più di quelle di Langa, dalla favorevole esposizione al sole che permette pure lo sviluppo dell’olivo, la Barbera trova il suo habitat ottimale. Il colore è rosso rubino da giovane tendente al rosso granato dopo l’invecchiamento. Il profumo è intenso e fruttato, delicatamente vinoso. I sentori sono di prugna matura e ciliegia marasca, di mora e lampone. Sapore asciutto, di buon corpo e con adeguato invecchiamento diventa più armonico, gradevole e di gusto pieno. Il passaggio in barrique ne smussa l’acidità rendendolo più armonico. La diversità della Barbera d’Asti, che per lungo tempo è stato un limite allo sviluppo di proposte di qualità, negli ultimi anni è divenuta una ricchezza che si è trasformata nell’istituzione di tre sottozone: Nizza, Tinella e Colli Astiani. La Barbera (d’Asti), infine, trova nella sua grande duttilità e personalità il motivo principe della mia partigianeria, un vino che sa dare emozioni, fermo e sapido in giovinezza, maturo senza “baroleggiare” quando invecchia. Sempre la Rebaudengo dice che “Tuttavia anche nelle altre provincie piemontesi questo vitigno dà ottimi risultati” e  la differenza è una linea sottile che separa l’ottimo dalla perfezione.  

1 commento:

  1. Io mi sono innamorata della Barbera d'Asti da Bersano, circa una decina di anni fa, quando ho assaggiato la Cremosina.
    Tu quale mi consiglieresti? Avrei in mente di trascorrere una domenica nell'astigiano, alla ricerca di una barbera d'Asti tutta da provare.

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